A volte mi capita con le figlie o gli amici di parlare del Coro, dello spirito di quell’epoca, del legame che ci univa: l’amicizia, il profondo respiro di sollievo dopo la guerra, la fame, tanta, e i pochi soldi, l’amore per la montagna, la passione per il canto. Si, tutto questo va bene, ma c’era qualche cosa di più, molto di più, che tento di spiegare. Ma no ci riesco. E comunque oggi non sarei capito. Ed allora rinuncio e tengo tutto per me: il ricordo degli amici, di quelle serate assieme, delle prove al mercoledì nella bottega di Angelo, dei momenti magici nel silenzio della montagna. Sono retorico? Pazienza!
La bottega di Angelo Avesani! Ho tante foto ma nessuna di quella bottega! Che sia proprio esistita? Forse l’ho solo sognata. Infatti, come al risveglio, non mi riesce di definire i particolari: vedo solo due banconi di falegname, con tanti trucioli, bersaglio delle “frignocole” nervose di Mario, che ci richiama con il fatidico “dai, butei!”, una lampada a piatto, bassa, che appena illuminava i nostri volti immersi in una atmosfera strana, surreale: fumo, polvere (quella solita). E attorno? Un nero misterioso e basta.
Ah, no, ecco: a mala pena intravedo, fissato alle pareti con chiodi, cordicelle e altro, il più fantasioso sovrapporsi di arnesi, fogli disegnati, cornici appena abbozzate, calchi di gesso, trafori, ragnatele. Tante!
Ah, si, vedo anche una stufetta cilindrica ed un lungo tubo, anch’esso nero, che attraversa la stanza, appena sopra le nostre teste. E questi strani rumori evocati dai segreti archivi della memoria?
Li sento: riconosco lo sbacchettare della porta a vetri, dimentichi della loro originale trasparenza, e questo è il cigolio della sgangherata porticina di legno, bassa e stretta, che dà su Corso Cavour, e questo colpo secco, infine, è la conseguente buona grazia necessaria per chiuderla.
Spesso la porticina viene lasciata socchiusa per poter respirare ed infatti, ecco, vedo là fuori alcune persone che ascoltavano le nostre prove. Al freddo, che eroi! E pure applaudono!
E ora, cosa succede? La prova è finita ed ecco il rito dell’autofinanziamento: tentiamo di raschiare poche lire nel vuoto spinto delle nostre tasche.
Ma è tutto così lontano, come la nostra gioventù, i nostri sogni, il liceo, le ragazze delle nostre canzoni (tante) e quelle della vita (poche).
Forse è solo una favola, il desiderio di un momento felice, una commedia che ho visto tanti anni fa. Forse…
Armando Bonaldi