Non ha ancora compiuto sedici anni Piero Zamboni, quando, giovane studente del Liceo Scientifico Messedaglia, conclude il breve periodo di prova come auditore ed entra a far parte del Coro Scaligero dell’Alpe. Inizia così una vicenda che lo ha avuto come protagonista per lunghi anni, per una vita intera, almeno fino a quando la salute lo ha sorretto.
Già nei primi anni non si accontenta di assolvere al compito di semplice cantore, ma, in collaborazione con Carlo Apostoli, si adopera, in assenza degli spartiti non ancora pubblicati, a decriptare le prime incisioni dei Canti di Montagna del Coro S.A.T. per riconoscere le parti separate delle quattro voci e riportarle sul rigo musicale, ad uso del coro. Per i due giovani ventenni comincia un’esperienza nuova, che, col sostegno della mamma di Piero affermata pianista-concertista, li conduce a elaborare delle armonizzazioni e delle composizioni musicali, alcune delle quali fanno ancora parte del nostro repertorio, come, per esempio, Belle rose du printemps e La nube.
Non passano dieci anni e il giovane corista diventa collaboratore del maestro Mario Biondani nella preparazione dei nuovi canti e fa le prime esperienze di direzione musicale, che costituiscono una vera scuola abilitante di un autodidatta dotato di attitudine specifica. Infatti, quando Mario Biondani lascia la direzione del coro nell’aprile 1962, i coristi non hanno difficoltà a scegliere il successore ed eleggono all’unanimità il ventinovenne Piero Zamboni, agli amici noto come Peo, nuovo direttore del Coro Scaligero dell’Alpe.
Il Coro, recentemente rinnovato dall’ingresso di una dozzina di giovani voci provenienti da un percorso parallelo condotto da Carlo Apostoli, può riprendere il cammino con particolare vigore e affrontare con serenità i nuovi traguardi. Ne è garanzia la determinazione del nuovo maestro, che rivela di possedere doti da manuale come: la coscienza del proprio ruolo, impegno di carattere, versatilità, senso di responsabilità, autorevolezza, amore appassionato per la musica e il canto corale. Senza contare la sensibilità artistica, rivelata anche nell’esercizio dell’attività professionale di architetto, e il grande amore per la montagna, che gli consentono di infondere passione in tutte le iniziative promosse nel coro e negli altri ambiti di vita.
Si può capire perché la sua esperienza non poteva esaurirsi nel breve scorrere di pochi anni, ma impegnare una vita intera. E infatti si distende fino all’anno 2001 quando chiama ad affiancarlo nella direzione il trentenne Matteo Bogoni, al quale affida il testimone, continuando comunque a servire il coro come presidente in sostituzione di Alberto Nicoletto. Prosegue il suo servizio fino al 2005 con le dimissioni definitive. Non vuol dire che abbandona l’attività corale perché, sollecito nell’individuare nuove occasioni d’impegno, il Peo si affretta a fondare il Coro del Rengo per offrire ai pensionati dei vari cori veronesi l’opportunità di continuare a gioire del canto corale in un percorso più sereno e distensivo. Solo un fatale e sfortunato malanno, nell’estate del 2012, gli impedisce di continuare la corsa. Ma, anche se il suo corpo è incatenato dalla malattia e non riesce ad articolare parole, lo spirito e il cuore sono sempre vivi e in essi la passione per il canto ha impresso un sigillo talmente profondo, che, quando gli amici in visita intonano qualche melodia, inaspettatamente fa uscire dal profondo la sua voce intonata di basso, in armonia con le altre voci.
Infaticabile nel suo impegno, lungo il cammino, oltre a svolgere degnamente la funzione di maestro, ha profuso energie per stabilire relazioni con tutti, con persone, enti e realtà sociali e politiche di vari luoghi, anche fuori Verona e all’estero. Innumerevoli sono le iniziative progettate, sostenute e realizzate che lo hanno avuto come promotore, sempre attento al coinvolgimento di amici e collaboratori al fine di conseguire obiettivi condivisi. Da ricordare in particolare sono i legami di amicizia con la provincia di Bingen (Renania) e gli ininterrotti contatti con le famiglie di Bingen Kempten e con il Coro locale MGV 1877. Ma è stato il coro il luogo prediletto della sua vocazione e ad esso ha dedicato gran parte del suo impegno di vita senza interruzioni e stanchezze. A tal proposito ci piace ricordare, tra le molteplici iniziative, due importanti realizzazioni:
– in primo luogo l’impegno personale impiegato, all’inizio degli anni novanta, nella difficile e faticosa adesione del coro al CAI, che ha consentito anche di risolvere decorosamente il pluriennale problema della sede;
– in secondo luogo la pubblicazione del libro, da lui fortemente voluto e tenacemente portato alle stampe nel 2008, che ha pensato di concepire come racconto della bella avventura dei primi Sessant’anni insieme, una vera dichiarazione d’amore per il suo coro e la sua città.
Quanto a noi coristi, protagonisti di questa avventura, resta impresso il richiamo insistente alla disciplina, al senso di responsabilità e allo spirito di sacrificio, che il Peo ci trasmetteva con frequenti sermoni, riempiendo le pause durante le prove. Essi erano anche l’occasione di una partecipazione democratica alla discussione, con libera espressione del giudizio di ogni componente del coro, che talvolta veniva anche accolto. In queste occasioni colpiva la solennità del gesto, col quale il maestro accompagnava ogni affermazione importante, ossia quell’ampio movimento ascensionale del braccio. Lo stesso movimento che ripeteva anche nell’ultima difficile fase della sua vita, quando tentava di esprimere il proprio pensiero sottolineando col gesto i pochi monosillabi che riusciva a fatica a pronunciare. Quel gesto ci consentirà di trasformare il ricordo in un impegno a proseguire nella direzione tracciata dal Peo nel tentativo di onorarne la memoria nel modo più degno.
Luciano Raineri