Fuori la luna danza nella pigrizia della sera accarezzando la notte in divenire con mani materne. Dentro, nel teatro colmo di amichevoli brusii, il pubblico attende trepidamente che le voci del Coro Scaligero dell’Alpe ricuciscano gli strappi della propria giornata che stancamente sta scemando. E’ in programma il recital “Per non dimenticare” che il Coro Scaligero dell’Alpe e la voce recitante del “poetattore”, e Alpino, Mauro Dal Fior dedicano alla sanguinosa battaglia dell’Ortigara del 1917 e al Corpo degli Alpini che, su quelle montagne, hanno avuto un enorme spargimento di sangue. Nella valle c’è un cimitero, cimitero di noi soldà, ta pum, ta pum, ta pum. Ora le luci s’abbassano come se la notte arcigna fosse scesa lentamente sulle rupi dell’Ortigara e il vicino, seduto accanto nell’attesa dell’inizio dello spettacolo, diventasse la rude roccia di trincea oppure il tuo compagno che sta scrivendo l’ultima lettera alla mamma. Ho lasciato la mamma mia, l’ho lasciata per fare il soldà, ta pum, ta pum, ta pum. Lentamente s’alza la luce dei riflettori del teatro, come fosse quella che compare in cielo fra il termine della notte e l’aurora nei baraccamenti e nell’olocausto delle trincee. Ed ecco che, come dalla bruma evanescente delle vallate montane, appare sul palco d’improvviso a semicerchio il Coro Scaligero dell’Alpe diretto dal M° Matteo Bogoni.
Il Maestro dà l’accordo iniziale e per tutta la serata armonie di voci si stemperano fra le poltrone della platea, mute, attente, sospese. E via via il coro snocciola, uno ad uno, canti alpini e canti di montagna, alcuni notissimi, ma con voci così ben armonizzate che sembrano sempre nuovi. Più che un coro di montagna sembra un coro d’angeli discesi a portar conforto ai morituri dell’Ortigara. I canti sono viluppati, alle volte scossi, con la voce recitante che, con gran pathos, racconta alcuni momenti della battaglia tratti dal libro autobiografico “Scarpe al sole” di Paolo Monelli, ufficiale degli Alpini. Inoltre la recitazione s’intervalla con le lettere di Alpini in trincea e le onomatopee futuriste della battaglia che squarciano il teatro come shrapnels, tanto che par di sentire vicini i lamenti e le speranze dei giovani Alpini ventenni, alle volte anche più giovani, mandati al massacro da scriteriati ordini superiori.
Fra un recitato e l’altro ritornano le voci del coro che inneggiano alla bellezza del canto in contrasti di forte e piano, luce e buio, presto e adagio, in una ridda di suoni che puntano l’alzo alla pace interiore che fasci l’anima. Venti giorni sull’Ortigara senza il cambio per dismontar, ta pum, ta pum, ta pum. E poi il finale che ti lascia senza respiro, in un’afasia incosciente come le inutili maschere antigas italiane contro gli effluvi assassini. Parte il recit solenne della Preghiera dell’Alpino che si snocciola a rosario…sulle nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi, fondendosi con le voci del coro in sottofondo che creano trame di toni sulla voce recitante…dove la Provvidenza ci ha posto a baluardo fedele delle nostre contrade. Ed ecco che in simultanea con la Preghiera sale il canto Signore delle Cime, prima muto poi piano piano, sempre più in alto, più in alto, fino a sfondare il cielo del teatro librandosi nella notte, sempre più su, più su…su nel Paradiso lascialo andare per le tue montagne. E’ un finale da brividi che corrono lungo la spina dorsale del teatro gremito, esausto di emozioni. Per non dimenticare, attraverso il canto delle montagne, quanti sono rimasti lassù con “le scarpe al sole”. Per trasformnare il canto di montagna in un arcobaleno di colori, di pace e di speranza affinché la guerra non ritorni mai più. Mai più!
Grazie Coro Scaligero dell’Alpe!
Mauro Dal Fior